Cari fratelli Laziali,
la partita di giovedì sera ha fatto aumentare la
preoccupazione per questa squadra che appare smarrita, non conscia delle
proprie forze, che invece aveva ben dimostrato di possedere a suon di risultati
(e di successi) nelle ultime quattro stagioni. Dov’è finito il bel gioco, il
bello stile dell’Undici biancoceleste? Ispirati dalla scuola da poco
ricominciata, vogliamo azzardare il seguente paragone: la Lazio attuale è come
un bravo studente, preparato e diligente, che rientrando in classe ha trovato
un nuovo insegnante. Questi gli dice: "Sei bravo e scrivi dei bei temi! Continua
a farlo, ma quando scrivi usa la mano sinistra anziché quella destra".
Un disorientamento che metterebbe a dura prova chiunque, non
solo il bravo scolaro. E dunque, fuor di metafora, non essendo noi dei tecnici
di calcio ma dei semplici innamorati di Lazio con una penna in mano,
possiamo attribuire l’abulia dei giocatori legata ad un inesprimibile rifiuto
ad assimilare il nuovo metodo di stare in campo. Se la prossima partita
fosse con il Genoa o l’Atalanta non saremmo stati qui a lamentarci più di
tanto. Ma siccome fra poche ore si giocherà nuovamente un Derby, ci permettiamo
di dirvi che siamo leggerissimamente preoccupati.
Cosa può fare lo scaramantico tifoso in questi casi?
Probabilmente ricorrerà ai riti di sempre. Indosserà quel vestito, farà quella
tal strada, telefonerà a quella precisa persona. Noi faremo esattamente lo
stesso e visto che questa rubrica rievoca solitamente dei bei momenti, ci
aggrappiamo ad un vecchio precedente che – come vedremo – sembra avere
tantissimi punti in comune con quello attuale.
Torniamo indietro a domenica 28 novembre 1976. Sono le 14 e
30 in punto quando il signor Michelotti di Parma sta fischiando il calcio
d’inizio del derby di andata, Lazio – Roma, settima giornata del Campionato di
Serie A 1976-77.
Come quel giorno, abbiamo appena cambiato allenatore.
L’abbiamo preso dalla squadra con la quale è diventato di moda, il Napoli. Si
chiama Luis Vinicio ed è brasiliano. Già nel corso della primissima conferenza a
Via Col di Lana ha annunciato che la sua nuova Lazio giocherà con un
metodo del tutto nuovo per l’Italia, un metodo sperimentato con successo in
altri campionati europei: il cosiddetto modulo a zona.
Guardate che bella Lazio: Pulici, Ammoniaci, Martini,
Wilson, Manfredonia, Cordova, Garlaschelli, Agostinelli, Giordano, D'Amico e
Badiani.
Dalle ceneri della Lazio campione d’Italia è rinata una
bella squadra dopo un biennio di tragedie, purtroppo nel senso letterale del
termine. Anche la Roma è ricca di grandi personaggi, di belle persone che con
piacere ricordiamo su questa pagina: Paolo Conti, Maggiora, Sandreani, Boni,
Santarini, Menichini, Bruno Conti, Di Bartolomei, Musiello, De Sisti e
Pellegrini. Molti di loro, come Bruno Conti e Agostino Di Bartolomei, sono
giovani e inesperti.
Alle 14 e 35 la Roma ha già iniziato il suo attacco, animato da una foga tutta giovanile, un ardore quasi shakespeariano, privo di calcolo e di raziocinio. C'è entusiasmo, carattere, brio e velocità. Caratteristiche che non dispiacciono, sia ai tifosi giallorossi che al tecnico, Nils il barone. Noi siamo in formazione tipo, loro sono con tre riserve: mancano tre big come Rocca, Peccenini e Prati, ma i sostituti sembrano non far rimpiangere i più quotati assenti. Maggiora affronta senza timore Cordova, un nome che ai giovani dirà poco o nulla ma che coloro i quali viaggiano verso la sessantina, non faticheranno ad accostare a Francesco Totti. Perché Franco Cordova detto, Ciccio, ha infuocato gli spalti della curva Sud per circa dieci anni, al termine dei quali si scoprirà pronto per un impensabile salto del Tevere. I romanisti lo fischiano mentre noi lo guardiamo con diffidenza. Anche Menichini controlla bene Giordano, che è sì giovanissimo ma nella Lazio matta e disperatissima del dopo-Chinaglia, si cresce in fretta. Pellegrini corre e scatta in avanti senza timore, probabilmente con meno classe ma con maggior decisione di uno che a Milano era diventato un semidio: Pierino Prati. In questa Roma sì veloce e audace, solo Picchio De Sisti sembra poter farsi carico del peso di un bilanciamento fra i reparti. Ci temono, giocano con una sola punta, Musiello, che non è bello da vedere ma non è quasi mai solo. Riceve infatti aiuto da tutti, alternativamente da Pellegrini e da Bruno Conti, poi da Di Bartolomei e da Boni.
E noi? Stiamo letteralmente a guardare e non pochi mugugni si alzano dalle tribune della tifoseria ospitante. Siamo più dei romanisti e ci siamo gasati durante tutta l’estate con il fascino emanato da Luis Vinicio. E invece assistiamo ad una Lazio che gioca a nascondino, che rallenta il gioco – anzi – lo distrugge. Una Lazio molto, troppo diversa da quella propagandata da Luis Vinicio durante l’estate. Le marcature sono a uomo, un controllo ad personam spietato. Tutti debbono rispettare delle consegne: ai difensori è proibito avanzare, tanto che Wilson non si allontana mai da Pulici più di venti metri. Lionello Manfredonia sembra un hippy, è un capellone che ricorda il primo Claudio Baglioni: controlla Musiello, che pur apparendo migliorato rispetto alle ultime esibizioni non riesce a nascondere i propri limiti tecnici. Gioca però bene di sponda, spalle alla porta e i suoi smarcamenti sono intelligenti, in cerca dei compagni più dotati di lui. E Franco Cordova, detto Ciccio? Lui, il «traditore», è in difficoltà. Emozionato, appare sempre in ritardo, lento nello scatto, commette pure qualche fallo inutile, non entra quasi mai nel vivo del gioco e noi ci imbufaliamo perché ci sembra che giochi ancora con loro. Vincenzino D'Amico ha azzardato il rientro da un lungo infortunio e Badiani non è quello visto nell’ultima giornata di Como, in quel lontanissimo pomeriggio di una romantica salvezza di cui un giorno forse vi parleremo. Andrea Agostinelli è più spettinato che frizzante e quindi tutto il nostro centrocampo viene irriso dall'azione in profondità dei giallorossi. Pulici, San Felice Pulici, quel giorno fu semplicemente grandissimo.
Vediamo perché: per evitare un disastro respinse tutto. Un po' con la fortuna, un po' con l’intuito, un po' con la sua abilità, Felice apparve imbattibile. Tenete il conto! Prova Bruno Conti all'11' ma cicca clamorosamente il bersaglio. Poi tenta un assalto Musiello, ma Pulici in uscita lo chiude e Manfredonia può liberare. Un minuto dopo Bruno Conti riprova e sbaglia di nuovo. Al 23', ancora l’intuizione e l’abilità e fortuna aiutano Pulici a respingere due tiri a colpo sicuro di Di Bartolomei prima e di Pellegrini poi. L'assalto dei giallorossi è continuo, pressante. Ci manca il fiato, nonostante la giornata quasi fredda. In campo sembra un assedio e in tribuna restiamo zitti e muti. A malapena arriviamo sulla tre quarti, Pulici sembra Superman. Pulici è un n.1 di gran classe ma non è Superman, segno evidente che a loro manca un vero centravanti. Noi invece ne abbiamo uno, è un trasteverino bravo quasi come Cruijff. Altro che gioco a zona: arretriamo i centrocampisti a protezione della difesa e giochiamo solo in contropiede.
Il nostro
primo tiro è al 30’ ma Renzo Garlaschelli spara alto. Poco dopo proprio Ciccio Cordova
allunga a Giordano un pallone invitante ma il baffutissimo Paolo Conti è pronto
all'uscita interrompendo l'azione. Che cos’è il genio? In Amici miei, il
successo cinematografico dell’anno, ne viene data una definizione che potremmo definire
puntuale: È fantasia, intuizione, decisione e velocità d'esecuzione.
Succede che siamo intorno al 40' e all’improvviso, spietato, Brunetto nostro (ritratto in una bellissima foto tratta dall'archivio di "Repubblica") sta pensando di punire la Roma per tanta prodigalità. Partiamo sornioni, sembra
un’innocua fase di alleggerimento, con Badiani che tocca a Garlaschelli, che subito
lancia in diagonale Giordano, molto defilato sul settore sinistro. Ma Menichini
è rimasto al centro, ed è tagliato fuori, tenta un recupero Santarini, ma Bruno
Giordano tira in diagonale quasi dalla linea di fondo proprio mentre Paolo
Conti sembra volersi tuffare al centro, nel punto ideale di ricezione di un
cross. Ed invece Bruno fa un tiro impossibile, un pallone tagliato, che passa sopra
la riga di gesso ed entra in rete dalla parte opposta: 1 a 0. Il gol avviene
sotto la Nord, che esplode in un boato per nulla atteso e quindi, ancora più
profondo. I ragazzini romanisti accusano il colpo. Avevano attaccato di
più (avevano attaccato soltanto loro), avevano sfiorato più volte il gol,
avevano costretto Wilson, Manfredonia, Ammoniaci, Martini, Badiani e molti
altri ad una difesa a volte affannosa, avevano sognato di trasformare la
partita in un crescendo rossiniano, fino al trionfo finale. Invece al primo
contrattacco sono trafitti che nemmeno San Sebastiano. Insomma, siamo certi di
aversi reso l’idea e potremmo raccontarvi ancora e ancora a lungo i tanti
aneddoti legati a quel giorno indimenticato, nel quale vincemmo il Derby con un
solo tiro in porta.
Cari fratelli Laziali, avete colto le analogie con quella
Lazio e con questa? Nuovo allenatore, stessa squadra di provenienza, stesso
cambio di modulo di gioco. Stessa fase di down nel campionato, con tanto
di un ex (un romanista che passa alla Lazio è una cosa epocale). C’era perfino
un Pellegrini alla corte giallorossa del 1976-77 ma invece – per nostra fortuna
– il Pellegrini attualmente in forza alla asroma ha trovato il modo e la
maniera per autoescludersi dalla contesa, domani sera.
Abbiamo condiviso un bel ricordo. Giovedì abbiamo preso un punto, con un solo tiro in porta, al 91’ e su rigore. Non ci sentiamo di aggiungere altro. Forza Lazio!
Ugo Pericoli