Cari fratelli Laziali,
quest’ultima sosta per la Nazionale è coincisa con un
momento in cui eravamo tutti con il morale a mille. Detto che della Nazionale
ci interessa il giusto, non vediamo l’ora di rituffarci in clima Campionato.
Poche settimane fa, come ogni anno, è stata celebrata la
“Festa dei Nonni”. Questo ci ha incentivato a scandagliare nell’archivio
più profondo della nostra memoria. Scavando, è tornato alla luce un dolcissimo
ricordo di sessant’anni fa.
In vista della supersfida con la Juventus, vi
invitiamo a ritornare ad un giorno ormai sbiadito dal tempo.
Era domenica 22 marzo ’64, si giocava la 26° giornata
del Campionato di serie A 1963-64. Una Lazio traballante in classifica
affrontava la Juventus in trasferta.
Era la Juventus di Eraldo Monzeglio, classe
1906, campione del mondo con la Nazionale ai mondiali del ’34 e del ’38.
Questa la sua formazione: Anzolin, Gori, Sarti,
Castano, Salvadore, Leoncini, Dell'Omodarme, Del Sol, Zigoni, Sivori e
Menichelli.
Noi stiamo per assistere alla nascita dell’era-Lorenzo.
La sua Lazio è la seguente: Cei, Zanetti, Carosi, Governato, Pagni, Gasperi,
Maraschi, Morrone, Galli, Landoni e Mazzia.
Come arrivavamo alla partita? Noi, alla ricerca un po’
affannosa del punticino-salvezza, loro invece meno bene del solito, attardati
in classifica e - clamorosamente – già quasi fuori dal giro scudetto.
Infatti, oltre alle due milanesi rivali di sempre, si
è insinuato nel nordico triunvirato il Bologna. Gli Emiliani sono la
sorpresa del Campionato. Se vengono definiti “la squadra che tremare il
mondo fa”, gran parte del merito va tributato ad un allenatore
dall’intelligenza certamente sopra la media: Fulvio “Fuffo” Bernardini,
un “romano ‘de Roma”, un uomo e uno spirito libero, una persona autentica e dall’animo
nobile.
Torniamo a noi. Lorenzo posiziona Zanetti
su Menichelli, Carosi su Dell'Omodarme, Pagni su Zigoni, con Gasperi
libero. A metà campo, Governato tallonerà Omar Sivori, Landoni sarà
su Del Sol; Mazzia giocherà arretrato.
Monzeglio risponde
con Salvadore e Castano su Morrone, Sarti su Maraschi e Leoncini su
Galli.
Non esistono gli Ultras, ma i cinquecento
laziali giunti a Torino, la dicono lunga sull’affetto “irriducibile” del
supporter biancoceleste. Partiamo benissimo, con Morrone che va in fuga
sulla sinistra, cross tagliatissimo e tiro di Landoni che Anzolin
nemmeno vede partire. E chi se l’aspettava? Dopo neanche due minuti siamo in
vantaggio. Per Landoni è il primo goal in serie A. La Juve accusa il
colpo e riesce a replicare solo al 17', con una conclusione a lato di Gori. Al
27' Gasperi è freddissimo, e riesce a fermare un'azione juventina,
trasformandola in un contropiede: pallone a Morrone, passaggio a
Landoni che mette in moto Maraschi che batte di prima senza
esitazione: 0 a 2, incredibile al Comunale!
Un magnifico gol, accompagnato dai sarcastici applausi
dei tifosi di casa, indispettiti dai propri giocatori che danno l’impressione
di aver mollato.
Al 36' la Juve prova una timida reazione con Sivori,
il quale impegna Cei con un velleitario colpo di testa. Cei deve
ripetersi su Zigoni solo due minuti dopo, poi, al 41', Maraschi, lanciato verso la rete da un filtrante
di Galli, viene atterrato da Salvadore. Ossequiosamente, l’arbitro Cesare
Jonni, invece del rigore, concede una punizione dal limite. Senza neanche
protestare, Maraschi posiziona il pallone a terra, poi spara una bordata
che s'infila sotto la traversa. A quel punto Jonni, spaventato per le
proporzioni che potrebbe assumere la sconfitta per i padroni di casa e “temendo”
per la sua carriera di arbitro, annulla il gol. “Avete battuto prima del mio
fischio”, questa la motivazione rilasciata al professor Governato.
A quel punto, Maraschi ricolloca la palla sullo
stesso punto di battuta ma invece di calciare, appoggia corto su Morrone.
Proprio lui, Juan Carlos Morrone da Buenos Aires, con un tiro fortissimo
batterà per la terza volta Anzolin.
Alla fine del primo tempo il risultato è
sul 3-0 per noi. Gli juventini sono sconcertati, non sono
certo abituati a ritrovarsi sotto contro un’avversaria nettamente inferiore,
almeno sulla carta. Dall’altra parte, i cinquecento laziali giunti a
Torino, vivono una situazione surreale, in un mondo capovolto, con una
classifica al contrario. Al 52' Maraschi tira fuori di poco e, solo a
quel punto, il mancato 0-4 convince la Juventus a limitare i danni.
Anche noi smettiamo di giocare. Gli ultimi venti
minuti sono un supplizio per i tifosi di casa. Al fischio finale, l’esultanza
dei nostri sarà coperta dalle bordate di fischi juventini. Una situazione impensabile
alla vigilia, anche perché la Lazio non vinceva in casa della Juventus dal
1949.
Fu una giornata trionfale, una delle più
belle vittorie di tutti i tempi.
Ci avvicinammo alla quota salvezza e prendemmo
coraggio. Stavamo per retrocedere, quella vittoria cambiò l’inerzia e la
classifica finale. Conquistammo un onorevole ottavo posto, precedendo la Roma,
solo dodicesima. La Juventus sarebbe stata solo 4°, mentre il Bologna si
sarebbe laureato Campione d’Italia cinquanta giorni più tardi.
I bambini che gioirono quel giorno, oggi sono nonni
felici, sono Nonni Laziali.
Ci piace concludere con una nota di
costume.
Avrete certamente notato guardando la foto articolo, l’inconsueta
maglia utilizzata dalla Lazio durante quel campionato.
La Lazio di sessant’anni fa, infatti, scendeva in
campo con le polo della "Lacoste".
L’adozione del marchio francese, reso famosissimo dal Tennis,
venne proposto alla società nientemeno che da Uber Gradella. La sua "Bottega
dello Sport", all'inizio degli anni '60, nel pieno del boom economico,
proponeva il meglio del meglio per lo sport e il tempo libero. La Lacoste stava diventando uno dei brand più
famosi del mondo e la Lazio di quell'epoca, in vena di internazionalismi, non seppe
resistere al fascino del "coccodrillo" e si ritrovò a vestire le
elegantissime Lacoste.
La Lacoste però, non produceva di certo maglie da
calcio. E non lo avrebbe fatto mai. Pertanto, le maglie che indossarono Nello
Governato & Soci, erano esattamente le classiche, in vendita ancora oggi
nei migliori negozi di sport, con la chiusura a due bottoncini in madreperla,
gli incavi a nido d'ape, che le conferiscono – oggi più di ieri,
quell’irresistibile tocco vintage.
All’inizio fu uno shock per la tifoseria. Non tanto
per il “taglio”, quanto per la tonalità di colore, che non era il tradizionale
azzurro ma il blu alla “francese”.
Uber Gradella
provò a commissionare una tonalità più chiara ma la risposta della casa madre fu
netta: i colori disponibili erano solo quattro. Il blu, il rosso, il bianco e il
giallo.
E perciò, l'unico colore “compatibile” era il blu francese.
Gradella consegnò alla Lazio tre set di maglie
Lacoste, private del celebre logo col rettile. Tutti i “coccodrilli”
vennero infatti scuciti, uno ad uno, con lo scopo di far apparire quelle maglie,
divise pensate per giocare a pallone.
È anche da questi particolari che possiamo farci
un’idea di cosa fosse il Calcio di quegli anni: un gioco, un rito domenicale,
fatto di semplicità, purezza e ingenuo disincanto. Il Calcio dei Nonni. Era o
non era una grande bellezza?
Si sta già parlando di una nuova maglia celebrativa
per il prossimo 125° anniversario.
Ci piacerebbe acquistare una maglia dal sapore
“antico”. Ma avremo tempo e modo per riparlar di maglie.
Adesso ci attende uno Juventus-Lazio che potrebbe rivelarsi fondamentale. Forza Lazio!
Ugo Pericoli