Cari fratelli Laziali,

reduci dalla noia generata dalla sosta per la Nazionale, siamo pronti per rituffarci nel campionato.


In vista di Lazio-Torino vi riportiamo a domenica 19 settembre 1999.

Sono le 14:55 quando il signor Braschi di Prato avvia l’ingresso delle due squadre sul prato dell’Olimpico. È la terza giornata del Campionato, gasati dalla vittoria sul Manchester United, tutto l’ambiente Lazio sta attraversando uno dei più esaltanti periodi della sua storia.


Eriksson dispone di un organico attrezzatissimo e può permettersi il lusso di effettuare un turnover drastico, lasciando a riposo sette titolari. Alcuni in questo elenco non saranno nemmeno in panchina: Stankovic, Almeyda, Mancini, Lombardo, Mihajlovic, Boksic e Pancaro.


Manda in campo Marchegiani, Negro, Nesta, Sensini, Favalli, Conceiçao, Veron, Simeone, Nedved, Simone Inzaghi e Salas. La panchina è parimenti fortissima: Ballotta, Almeyda, Lombardo, Gottardi, Mancini, Andersson e Stankovic.

Emiliano Mondonico è consapevole della differenza dei valori tecnici e schiera un Torino super prudente: Bucci, Bonomi, Ficcadenti, Diawara, Mendez, Pecchia, Scarchilli, Coco, Asta, Ferrante e Lentini. A disposizione ha Pastine, Cudini, Sommese, Brambilla, Artistico, Ivic e Tricarico.


Siamo pochi a sospingere su una Lazio così forte, circa in 45.000. Molti di noi si sono lamentati in settimana, sostenendo che i prezzi hanno subito un’impennata ingiustificata e contesteranno Sergio Cragnottinon tifando nei primi 15 minuti. Siamo tutti molto tranquilli, sulla carta non c’è gara.

Il Toro però parte subito in attacco.


Ogni loro azione è immancabilmente bloccata dal nostro reparto difensivo. Per la prima volta assistiamo alle giocate di Néstor Sensini. È al suo esordio con la nostra maglia. È arrivato a mezz’estate, è un campione conclamato e perfino Alessandro Nesta sembra volergli concedere l’onore di assumer il ruolo di leader della difesa. Pavel Nedved, dopo qualche scatto a vuoto, entra in area, affonda una percussione, fa una giravolta sul piede d’appoggio e si guadagna un rigore. Bonomi e Ficcadenti, infatti, non hanno potuto che stenderlo e Veron – forse il più deludente al debutto Champions col Leverkusen, trasforma in gol nonostante l’arbitro gli abbia imposto di ripetere il tiro. Siamo al 14’: con freddezza, Veron ha cambiato angolo e batte nuovamente Bucci, un rasoterra alla destra di quest’ultimo, che quasi arriva a toccargli il pallone.


Sul Toro piove sul bagnato. Oltre agli infortunati Cruz e Maltagliati, deve rinunciare a Ficcadenti. L’inesperto Cudini si ritrova presto accerchiato.

Il vantaggio e la procurata sicurezza, ci inducono un grande rilassamento. Fino allo scadere, non tireremo più in porta. Eccetto al minuto numero 45, quando, nonostante un sinistro sbilenco, Simone Inzaghi beffa Bucci infilando per la seconda volta in rete.

Nell’intervallo prestiamo attenzione a cosa stiano facendo le nostre rivali, e guardiamo soprattutto all’Inter e alla Juventus. Siamo infatti più che sicuri di una vittoria ed anzi, intravediamo una goleada, perché questo Toro è veramente messo male.


Secondo tempo


Mondonico ha spostato Diawara a metà campo, arretrato a libero Mendez. Fa entrare Ivic per Scarchilli. Opera una minirivoluzione. E se vi dicessimo che il Torino non inquadrerà mai, nei restanti minuti, la porta di Marchegiani?


Conceição inizia a spingere mentre Negro e Favalli, assistono il centrocampo con maggiore continuità. È una sinfonia in cui tutti i concertisti danno il massimo, eccetto gli avanti, che steccano spesso al momento di concludere a rete. Bucci dirà di no per sei volte a Inzaghi, Salas, Conceição, Sensini, Favalli e al subentrato Almeyda. Finché Salas non trasformerà in gol l’occasione meno probabile e difficile. Un pallonetto da terra, di rapina, al marcatore e al portiere, il quale, travolto dallo stress accumulato fin lì, non le manda a dire all’arbitro che – saggiamente -finge di non sentire.

Tornammo a casa raggianti, con sette punti in tre partite eravamo in testa alla classifica assieme all'Inter, alla Juventus e alla sorprendente Fiorentina.

Abbiamo rivissuto le gesta di una delle Lazio più forte di sempre. Probabilmente, la più forte in senso assoluto. Quando si dice “potevamo vincere per 8 a 0”.

Sarebbe stato quello l’esatto divario tra le due contendenti, quel Toro, che anche quel giorno indossava il suo romanticissimo granata e la Lazio, vestita di azzurro, di classe e di potenza, che sembra trasparire dal linguaggio del corpo di Nedvede di Salas, ritratti nella foto articolo in un momento di gioco.

Lunedì sera dobbiamo accorrere in raccolta, per stringere d’affetto ed incoraggiare una Lazio distante anni luce da quell’invincibile armata.

Il Torino farà il suo. Occorrerà dare il massimo.

Forza Lazio!
Ugo Pericoli