Cari fratelli Laziali,
ritorniamo sulle rive del lago di Como dopo tanto
tempo.
Lassù, su quelle sponde, tra quelle montagne incantate
dove tutto già profuma di Svizzera, vivemmo uno dei pomeriggi più
indimenticabili di tutta la nostra storia: era domenica 16 maggio ‘76. Per la
trentesima, ultima e decisiva giornata del campionato di Serie A 1975-76
andiamo a Como. Non possiamo perdere. Se perderemo, andremo in Serie B.
È un como targato Osvaldo Bagnoli: Rigamonti,
Melgrati, Boldini, Garbarini, Fontolan, Guidetti, Renzo Rossi, Correnti,
Scanziani, Martinelli e Pozzato. In panchina, insieme a Tortora, portiere di
riserva, ci sono Mutti e un ragazzino esile e timido. Si chiama Paolo Rossi,
ha diciannove anni, è arrivato in prestito dalla Juventus l’estate prima. Su di
lui, la Juve non appare convinta e, a quanto pare, nemmeno Bagnoli sembra
crederci più di tanto. Per lui, solo 5 presenze. Il centravanti titolare è
“l’altro” Rossi, Renzo.
Noi siamo in una delle nostre fasi da Laziali,
immersi in un “Lazio-disperatamente” ante litteram, uno dei tanti.
Tommaso Maestrelli è
molto dimagrito, appare stanco. Ma è lì, al fronte, in prima linea, perché i
suoi ragazzi non possono fare a meno del loro “primo riferimento” : Pulici,
Ammoniaci, Martini, Wilson, Polentes, Badiani, Garlaschelli, Re Cecconi,
Giordano, D'Amico e Lopez. In panchina vanno Moriggi, Ghedin e Ferrari.
Dirigerà la partita un arbitro giovanissimo. Di lui si dice un gran bene: si chiama Luigi Agnolin e arriva da Bassano del Grappa.
Cominciamo come peggio non si potrebbe, con i comaschi
subito in vantaggio al 6' con Pozzato, che dal limite, trafigge sia Pulici che
il cuore di tutti i Laziali.
Dopo tre minuti, Ammoniaci evita il raddoppio, con
un contrasto, robusto e decisivo, su Pozzato. Poi, al 17', nonostante il sole
estivo e il paesaggio da cartolina, per noi scenderà la notte. C’è un corner per i Lariani, Correnti batte
a rete, il pallone è respinto da D'Amico, lo stesso Correnti riesce a
riprenderlo, lasciando partire una botta secca: 2-0 per il Como. Sono trascorsi
meno di venti minuti, siamo in Serie B.
In panchina il Maestro è silente, con sguardo
sereno segue le manovre dei suoi ragazzi, ne accompagna le azioni e i tentativi
di reazione. E una reazione c’è. Con un contropiede condotto da Wilson, Re
Cecconi allunga su un magrissimo Giordano, che si allunga il pallone
e – pur ostacolato da Fontolan - tira una bomba carica di rabbiosa voglia di
rimanere in Serie A e batte Rigamonti: 2 a 1.
Si riaccende la speranza ma le notizie che giungono
dagli altri campi non sono benevole.
Ci sono Pulici, Martini, Wilson e
Re Cecconi. Ci sono Polentes, Garlaschelli e D'Amico.
C’è quasi tutta la Banda Maestrelli in campo, determinata a rimanere in
Serie A.
Nel secondo tempo ci buttiamo all’arrembaggio. Dopo
meno di dieci minuti, Luciano Re Cecconi parte dal limite, petto
in fuori, testa alta. Sembra un angelo che si fa largo tra gli avversari, sale
ancora, poi libera un diagonale che taglia tutto il campo e che accende la luce
su Badiani, che è libero, smarcato, è l’attimo in cui tutta la nostra
vita da Laziali ci scorre davanti agli occhi. La sua palombella di destro s’insacca
in rete, dopo aver sfiorato la traversa. Un gol e un’azione di una bellezza
estrema, no, questa Lazio non può retrocedere!, è la lazio di Tommaso
Maestrelli.
Teniamo il filo del gioco, sbagliamo due facili occasioni
con Giordano e Re Cecconi. Entrerà anche Paolo Rossi, nei
quindici minuti finali, per giocare anche lui, seppur da avversario, con la
nostra Lazio Meravigliosa, per poter stringere la mano, una volta nella
vita, a Tommaso Maestrelli.
Al 90’, chi ha viaggiato nella notte per accompagnare
la squadra fino alla Svizzera entra in campo, per esultare insieme ai giocatori,
una festa dal sapore diverso vissuta al termine di quel Lazio-Foggia, ma ugualmente
appassionata e struggente.
Nessuno di noi potrà mai dimenticare quel momento. Il
volto stravolto di Roberto Badiani, le sue lacrime, documentate dalla
foto articolo, erano quelle di tutti noi.
E idealmente, alla fine, tutti portammo in trionfo Tommaso,
il vero artefice di quella salvezza che, a distanza di quasi mezzo secolo, ha
ancora del miracoloso.
Ci salvammo. Nonno Lenzini, per la stagione
successiva, avrebbe costruito una Lazio molto forte, per non soffrire più.
A luglio ricevette una telefonata dal presidente del
Como, Alfredo Tragni. Lo aveva cercato per provare a cedergli un
giocatore in prestito, dal momento che nel Como non riusciva a trovare spazio.
Parlarono a lungo di Paolo Rossi, Tragni si sperticò in elogi sul
calciatore e formulò una proposta economica. Il Sor Umberto lo mise in
attesa, si consultò con Bob Lovati - immancabilmente al suo fianco, nei
torridi pomeriggi estivi di via Col di Lana, in attesa delle notizie del
Calcio-mercato. Al termine della telefonata, Nonno Umberto disse al
collega: “Senti.. facciamo una bella cosa. Dammelo un Rossi, ma dammi quello
vero”.
E così, l’anno seguente, furono i riccioli di Renzo
Rossi a trotterellare per Tor di Quinto. L’altro Rossi – lo sconosciuto ed
esile Paolo Rossi, quello dal futuro incerto, avrebbe trovato spazio in
una squadra piccola piccola ma dal nome già mitologico. Il Lanerossi Vicenza.
Qualcuno, tra noi Laziali dalle barbe imbiancate, negli
atteggiamenti di Marco Baroni rivede la mitezza e la modestia del
“Maestro”. È nelle nostre corde, il cercare di rivivere quelle sensazioni, quella
cosa bella: la Lazio di Tommaso Maestrelli.
Successe anche con Simone Inzaghi. Ci fu una
curiosa analogia. Al termine delle partite all’Olimpico, i suoi bambini giocavano
a pallone sotto la Nord, cercando di far gonfiare la rete. Il pubblico
accompagnava i loro tentativi con gli Olé. In quei momenti, rivivevamo le corse
di Massimo e Maurizio, i gemelli di Tommaso Maestrelli,
sul pratone verde di Tor di Quinto, al termine degli allenamenti
infrasettimanali.
I Laziali sono tifosi appassionati e romantici, partiranno per Como carichi di speranza. Forza Lazio!
Ugo Pericoli