Cari fratelli Laziali,
l’anno non è iniziato sotto i migliori auspici. Abbiamo ulteriormente perso punti rispetto a chi ci precede, ma soprattutto abbiamo fatto registrare un’involuzione nel gioco che inizia a diventare preoccupante. Nell’attesa che Simone Inzaghi individui quelle soluzioni per evitare di commettere altre sciocchezze (prendere un goal come quello di Destro, al termine di un’azione iniziata in area di rigore genoana, è francamente sconcertante) ci tuffiamo nell’amarcord per la partita infrasettimanale dell’Epifania.
Oggi vi riporteremo indietro di 22 anni, ad una delle Lazio più belle e amate di sempre.
Era il 10 gennaio 1999, e stavamo per assistere al posticipo serale della 16° giornata del Campionato di Serie A 1998-99. Il duo Eriksson-Spinosi aveva veramente l’imbarazzo della scelta: in difesa, il ritrovato Nesta, infortunatosi sei mesi prima al mondiale di Francia 98, garantiva nuovamente sicurezza e classe a tutto il reparto difensivo. Il centrocampo, che aveva dovuto tirare la carretta nella prima parte del campionato, poteva finalmente contare sul tandem d’attacco Salas-Vieri. Una panchina di gran classe garantiva possibilità di ricambio continuo. La nostra Lazio, infatti, era una sorta di All Stars del football, una multinazionale del Calcio che la presidenza Cragnotti aveva regalato ai tifosi e agli azionisti della prima squadra della Capitale.
C’era elettricità nell’aria. L’arbitro era il signor Bazzoli di Merano. Finite le feste, attendevamo con trepidazione di rivedere dal vivo le maglie biancazzurre: Marchegiani, Negro, Nesta, Mihajlovic, Pancaro, Stankovic, Roberto Mancini, Almeyda, Sergio Conceição, Vieri e Salas. Seduti accanto ai due tecnici, Ballotta, Iannuzzi, Lombardi, De La Peña, Gottardi, Venturin e Couto.
Anche la Viola era messa molto bene, rientrava nel novero del cosiddetto “Club delle sette sorelle”: Toldo, Padalino, Falcone, Repka, Torricelli, Oliveira, Cois, Rui Costa, Tarozzi, Batistuta e Edmundo. È guidata da una vecchia volpe del calcio italiano e mondiale, Giovanni Trapattoni. Si accomoda in panchina insieme ad un altro simbolo della Fiorentina, forse il più grande di tutti, l’ex campione del mondo di Spagna ‘82 Giancarlo Antognoni. Vicini a loro, Mareggini, Bettarini, Firicano, Amor, Esposito, Bigica e Robbiati.
E noi? Arrivammo in sessantacinquemila all’Olimpico, per soffiare su una rincorsa che - sapevamo - poteva trasformarsi in un sogno chiamato scudetto. Dopo un quarto di secolo avevamo un altro “Long John” da tifare, perché a quelli della nostra generazione - diventati della Lazio per via di Chinaglia – lo stile di gioco, la potenza e la fisicità di Christian Vieri – riportavano alla mente le suggestioni del giocatore che ci aveva fatto entrare nel sogno un quarto di secolo prima.
La Lazio parte all’attacco, è un’azione condotta all’unisono da una squadra che, alla lunga, sa di poter vincere. La Fiorentina è in grandissima forma, il Trap ha saputo darle quel gioco all’italiana che la rende assai poco perforabile in difesa. È una partita a scacchi in cui la Lazio forza i ritmi per trovare nel possesso palla il mezzo per far cadere l'opposizione viola. Non è la tattica che predilige Sven, perché è una soluzione dispendiosa, ma la Lazio è superiore nelle zone che contano: Almeyda prevale su Cois, Mancini ricama le trame del gioco smistando rifornimenti agli altri reparti, Stankovic e Conceiçao sanno farsi trovare pronti quando Negro e Pancaro li cercano per farli partire in qualche avanzata. La Nord soffia alle spalle della propria a(r)mata, consapevole di una forza che prima o poi la vedrà prevalere.
I fiorentini sono blindati dal libero Padalino, sempre puntuale nelle chiusure, mentre Repka e Falcone soffocano l'arrembante Vieri anticipandolo quasi sistematicamente; contengono anche Salas, che sembra trovarsi meglio nel gioco aereo più che negli scambi con il roccioso partner d’attacco. Nel primo tempo infatti, i nostri due attaccanti non si direbbero propriamente “culo e camicia”. Le cose cambieranno, nel secondo tempo e per il resto del campionato. Trapattoni chiede ai suoi uno sforzo supplementare e perfino Batistuta è chiamato ad operare in fase di copertura. Alla fine del primo tempo i fatti gli stanno danno ragione: nonostante i 5 tiri in porta dei laziali, le squadre rientrano negli spogliatoi sullo 0 a 0.
Continua a non fare troppo freddo, nell’intervallo scendiamo al punto ristoro a farci una birretta. Guardiamo la classifica, i tre punti sarebbero importantissimi perché la prossima sarà durissima, contro il Parma targato Tanzi, aspirante anch’egli al titolo. La ripresa non inizia bene, giochiamo con minore continuità e ci spaventiamo il giusto per una sortita di Batistuta dalle parti di Marchegiani. Forse i nostri sono un po’ stanchi, dopo aver corso tanto per quasi un’ora. Ad un certo punto tornano alla mente i fantasmi che agitano i sonni di ogni tifoso: Oliveira sfrutta l’unico errore di Sergio Conceiçao, vola senza che nessun laziale riesca a fermarlo, scavalca anche Sinisa Mihajlovic e tira una sassata ad occhi chiusi. Il pallone impatta sotto la traversa, dinanzi ad una Nord che ha trattenuto il fiato per 15 interminabili secondi. Sven Goran Eriksonn si alza dalla panchina, chiede ad Almeyda di fare muro davanti ai difensori.
È trascorsa più di un’ora. Si sta per avvicinare la svolta. Anziché procedere per avanzate laterali, Mancini e Stankovic cercano Salas per vie centrali. Questi riceve, disorienta Falcone e subito, inaspettatamente - di tacco serve Vieri, che si è smarcato a non più di un metro e mezzo davanti al semicerchio che precede l’area di rigore. È un colpo di biliardo, un rasoterra violento che profuma di “puntata” alla Chinaglia, quel che si pianta nell'angolo, interrompendo la seduta spiritica dei sessantacinquemila dell'Olimpico: è un boato che rompe il silenzio della notte in riva al Tevere. Il vecchio catenaccio, impostato mirabilmente dall’ultimo guru del difensivismo all’italiana, è saltato all’improvviso grazie alla prodezza di un singolo. Il campionato 1998-99 fu ricco di sorprese, fu una lunga e faticosa corsa perduta sul filo di lana. Se dovessimo fissare in un fotogramma l’intera stagione di quel campionato, che ci vide arrivare secondi e con tanti rimpianti, sceglieremmo proprio il goal di Vieri alla Fiorentina.
Perché quella sera, dalla curva, vedemmo una squadra che pensavamo invincibile, come quella di Giorgio Chinaglia, e ci sentimmo certi che saremmo tornati a vincere. Mancava però ancora una mezz’ora; il Trap, ormai perforato, decise di cambiare tattica alla ricerca del pari. Dentro Robbiati al posto dell'interditore Tarozzi, e Rui Costa stabilmente lì davanti. Nonostante questo correttivo, il pallino del gioco rimase nelle nostre mani. Quasi senza accorgercene, arrivammo al 90°. C’è una punizione poco fuori dall’area, nella zona dove Mihajlovic sa di non aver rivali (nonostante una certa stampa romana si ostini a trovargli un alter ego all’interno del raccordo anulare). È un’altra saetta, un terra area che vale il 2 a 0, il terzo posto, e il quinto successo consecutivo.
Dai microfoni di Tele+, gli intervistatori non possono non pronunciare che una parola: Scudetto. Come farne a meno, dal momento che perfino la presidenza ha rotto ogni indugio, esaltandosi ed esaltando un’intera tifoseria che – a dispetto del cronico pessimismo cosmico - ha mandato in cantina ogni forma di scaramanzia? Sergio Cragnotti è nato il 9 gennaio, proprio come la sua Lazio. i suoi gli hanno consegnato un magnifico regalo di compleanno, una vittoria che sembra possa dare il via alla lunga rincorsa che terminerà il 23 maggio. Intervistato, dirà che allo Scudetto ci crede da inizio estate perché la squadra è di una forza straordinaria. Come andò a finire quel campionato lo sanno anche i Laziali di fresca militanza. Oggi, ci metteremmo la firma per poter rivivere quelle sensazioni, che valsero un prestigioso (seppur amaro) secondo posto, un primo trofeo internazionale e un immediato secondo trofeo in una delle competizioni più difficili da vincere, la Super Coppa Europea, specialmente quando per vincerla devi battere i campioni d’Europa che quell’anno erano gli irresistibili Red Devils di Sir Alex Ferguson.
Abbiamo steccato la prima ma guai a fermarsi ora.
Forza Lazio!
Ugo Pericoli