Cari fratelli laziali,
per prima cosa, buon compleanno a tutti voi!
Guardate dove siamo arrivati! Quassù si sta benissimo, il cielo è azzurro come la nostra maglia e non s’intravedono troppe nuvole sulla vetta, che a volte ci par già di toccare! Stiamo assistendo ad una Lazio straordinaria, fatta di ragazzi che stanno dando il loro meglio, proprio come il vecchio ragazzo che li sta guidando in questa stagione bellissima. A volte, quando vedi Simone Inzaghi dimenarsi nel suo completo blu al di fuori del perimetro dell’area tecnica, pensi che stia per dare un calcio al pallone e che prima o poi gli parta un mocassino. Invece sta incitando i suoi, ché non si deve mollare mai!, ché bisogna combattere fino al centesimo minuto! Forse è lui il segreto di questa Lazio. O forse, più semplicisticamente, si utilizza il suo nome per comodità, per dare un volto all’estetica del gioco di questa squadra che sembra irriconoscibile – in senso positivo – rispetto a quella della passata stagione.
Bando alle analisi che non ci competono e tuffiamoci nel ricordo della partita che verrà.
Sabato sarà nuovamente Lazio-Napoli, una sfida che fa tornare in mente tantissimi ricordi. Per qualcuno di noi, solo qualche decennio fa, questa partita era seconda solo al derby nella gerarchia delle rivalità. Non solo per una mera questione di prossimità geografica, piuttosto per un incrocio di passioni costruite su vecchie ruggini, avviluppatesi come un rampicante attorno ad una pertica, in una fitta ramificazione di storie che narrano di reti bucate, gol fantasma, sassaiole, accoltellamenti, parabrezza danneggiati, suppliche negli spogliatoi, inchini ai compagni e corna a due mani.
La nostra scelta per il “Mi ritorni in mente” di oggi cade su un Lazio-Napoli di 36 anni fa.
Come per la partita che stiamo attendendo, anche quel Lazio Napoli si giocò di sabato: era il 21 aprile del 1984, era sabato santo, quando all’Olimpico venne a farci visita questo Napoli: Castellini, Boldini, Frappampina, Celestini, Krol, Ferrario, Casale, Dal Fiume, Pellegrini, Dirceu e De Rosa.
Quel giorno a Roma faceva molto caldo. Noi stiamo lottando disperatamente per restare in Serie A. Il 1983 si è chiuso nel peggiore dei modi: Bruno Giordano è stato messo K.O da un calcione killer di Bogoni, durante la trasferta dell’ultimo dell’anno sul campo di Ascoli. Torniamo a Roma percorrendo la Salaria. C’è tristezza sul pullman e un grande senso di preoccupazione. Conti alla mano, siamo in piena zona retrocessione e con il nostro giocatore più rappresentativo che dovrà star fermo per sette o otto mesi. Praticamente, il suo campionato è terminato sulle rive del Tronto. La Serie B appare la conseguenza più verosimile e il volto di Giorgio Chinaglia è il dagherrotipo della tristezza. Anche i tifosi sono nella depressione più totale: la Roma sta viaggiando spedita verso il suo secondo scudetto consecutivo e non s’intravedono avversarie in grado di fermare l’armata giallorossa nemmeno in Coppa dei Campioni.
Paulo Roberto Falcao è letteralmente divenuto l’ottavo re di Roma, offuscando perfino personaggi del calibro di Bruno Conti, Agostino Di Bartolomei e Roberto Pruzzo. Questo il contesto che caratterizzò la solitudine dell’inverno laziale del 1984.
Tuttavia, è proprio nelle situazioni più disperate che la “Lazialità” inaspettatamente si manifesta, assumendo le sembianze e le forme di uomini “normali” che, in alcuni momenti decisivi, sanno trasformarsi in invincibili eroi. Come Nando Orsi, in un disperato Inter Lazio in cui brindammo per l’aggancio al terzultimo posto, o Lionello Manfredonia, dagli omerici slanci nel suo nuovo ruolo con la maglia numero 8, o Vincenzo D’Amico, che incarnò il ruolo di “fratello maggiore” in tutte le partite del girone di ritorno.
Dicevamo che era sabato santo, ma c’era già un “resuscitato” da salutare e da incitare con tutta la voce possibile: a meno di quattro mesi dall’infortunio, Bruno Giordano stava per rientrare all’Olimpico. Un cielo completamente tinto d’azzurro sovrastava uno stadio che si specchiava su sé stesso. Lo speaker annunciò la Lazio, finalmente nella sua formazione tipo: Orsi, Miele, Podavini, Spinozzi, Batista, Vinazzani, Cupini, Manfredonia, Giordano, Laudrup e D'Amico.
Bruno è emozionatissimo: non è che all’80, forse all’85% della condizione. Ma - ricordate? - la Lazialità assume le forme più strane e si manifesta dove meno te l’aspetti. Anche dentro uno studio medico.
Questa volta prende le forme del dottor Renato Ziaco, al quale nemmeno il riflessivo Paolo Carosi sente di poter opporre resistenza: “Bruno, non ti far suggestionare, sei guarito in anticipo! La gamba è a posto! Ricadute? Ma se ti ho detto che sei guarito!”.
Per metà medico, per metà tifoso, il dottor Renato Ziaco si assunse la responsabilità di far giocare Giordano con una gamba non ancora completamente idonea a sostenere gli stress di una partita di serie A.
Acclamato come un eroe da tutto lo stadio, con una muscolatura ancora sottotono (a dirla tutta, la gamba “guarita” era più piccola di quella sana di quasi mezzo centimetro) e un mazzo di fiori in mano, Bruno ha trattenuto a stento le lacrime. Ha consegnato i fiori ad uno della panchina e adesso si sta introspettivamente strofinando le mani nel cerchio di centrocampo, in attesa del fischio d’inizio del signor Agnolin. Non immagina nemmeno lontanamente quanto sta per succedergli nei prossimi secondi. Raccogliendo il primo cross proveniente dalla destra, colpisce al volo proprio con la gamba “malata”, segnando un gol bellissimo sotto la curva Nord. Sono trascorsi appena 40’’ dal fischio d’inizio. Sembra un segno divino, Bruno è “veramente” un predestinato, essendo risorto dalle sue ceneri una seconda volta! È sommerso dagli applausi mentre – stravolto - porta le mani al volto: una scena che nessun laziale dimenticherà mai. È l’1 a 0. Trascorrono altri 120’’, siamo entrati nel terzo minuto di gioco quando sta per iniziare una partita nella partita. Agnolin ha visto un mani napoletano in area: è calcio di rigore, con la concreta possibilità di portarsi sul 2 a 0 già al 3’ minuto di gioco.
Bruno è il nostro rigorista ufficiale dalla primavera del 1976 e si presenta sul dischetto col pallone tra le mani. Appare impaurito e incerto. Sullo stadio cala un silenzio assordante. Tira Bruno, respinge Castellini, riprende Bruno e fa gol sotto la curva Nord. “Stop!” – urla Agnolin – “troppi giocatori in area, si deve ripetere!”. Bruno tira nuovamente, nuovamente para Castellini. - “Non va bene nemmeno questa volta, il portiere s’è mosso prima!” – arringa Agnolin con posa solenne. Stavolta prova a tirare D'Amico: fuori! Si rimane sull’1 a 0.
Sfiancati dallo stress per questo fuori programma, i 22 riprendono a giocare e si arriva al 33’. Bella manovra a centrocampo di Giordano che con una piroetta di 180° agevola la fuga in contropiede di Laudrup, che una volta in area lascia partire un rasoterra di gran classe: è il 2 a 0. Stavolta il Napoli non ci sta e poco prima dell’intervallo Dal Fiume riesce a schioccare una fiondata che trafigge Orsi: 2 a 1.
La ripresa è molto più equilibrata, ma mai noiosa. A quel tempo, le partite le seguivi prestando un occhio al campo e un altro all’espressione del tifoso dotato di radiolina che stava seduto nelle tue vicinanze. Siamo alla XXVII giornata, mancano tre turni alla fine del campionato. Tutte le partite si giocano in contemporanea e si attendono - via radio - buone notizie dagli altri campi.
De Rosa prima e Pellegrini poi tentano la via del pareggio. C’è da stringere i denti. È nuovamente la mezz’ora del secondo tempo quando un Giordano pensieroso e con lo sguardo insolitamente rivolto verso il basso, infiocchetta un pallone per Laudrup – che scocca una freccia ravvicinata nel cuore della porta partenopea: è doppietta per il danese classe ‘64, è il 3 a 1. E sembra fatta!, ora si ritornerà a poter sentire solo la radio, e Ciotti, e Ameri, e Provenzali!
Ma sì! Sentiamole queste meravigliose voci che hanno fatto da sottofondo sia alle nostre domeniche allo stadio, sia alle passeggiate galanti con le fidanzatine di turno, sempre puntuali e discrete nell’annunciarci il pareggio del Cesena a Vicenza o il vantaggio del Milan a Catanzaro, mentre le fidanzatine suddette mostravano musi lunghi reclamando una maggiore attenzione! Eh sì, l’avremmo fatto volentieri, se De Rosa non avesse toccato per Ferrario, e batti e ribatti, e Celestini-gol: 3 a 2 e siamo solo al 77’, e c’è un supplemento di pathos, che durerà fino all'ultimo minuto di recupero, visto che Agnolin sembra non aver troppa fretta di tornarsene a Bassano del Grappa per passare la Pasqua.
Tornammo a casa con la faccia abbronzata, felici per la vittoria conseguita, scorgendo Giorgione nella sua giacca blu, il nodo della cravatta allentato, intento a mordicchiare un pezzo di cioccolata, perso nel suo sguardo un po’ ingenuo di eterno fanciullo.
Ciotti, Ameri, Provenzali, Giorgione, il dottor Ziaco. Paolo Carosi. Il signor Agnolin, di Bassano del Grappa. José Guimaraes Dirceu, da Curitiba. E il mite Angelo Cupini! Quanti amici sono partiti, tra i protagonisti di quel sabato pomeriggio. Li ricordiamo tutti con un affetto immenso, figli di un calcio che non c’è più.
Sabato alle 18 sarà nuovamente Lazio Napoli. Abbiamo molti desideri e tanti buoni propositi, che ci teniamo per noi. Come ci salutiamo? Mancano pochi punti alla matematica salvezza, proprio come 36 anni fa, perciò corriamo in massa all’Olimpico! Anche se siamo in pieno inverno, vedrete, ci sarà da sudare parecchio!
Forza Lazio!
Ugo Pericoli