La storia del Circolo
L’idea di mettere in piedi una sezione canottaggio venne a Olindo Bitetti e a pochi altri nel 1923.
Il momento era perfetto.
Nell’estate del 1923 si stava verificando a Roma e nei dintorni un fiorire di società di canottieri.
Bitetti non ebbe difficoltà a convincere gli amici della dirigenza sull’eventualità di organizzare l’attività remiera.
Negli ultimi giorni del 1923 nacque il Gruppo Canottieri Lazio.
Si formò un Comitato Direttivo guidato, in assenza di una nomina ufficiale, da Bitetti.
Il 2 gennaio 1924 il Comitato Direttivo del Gruppo Canottieri Lazio si riunì per la sua seduta inaugurale.
Passata l’estate, il 25 settembre 1924 la Società Podistica Lazio si riunì in assemblea.
Il presidente era il marchese Giorgio Guglielmi dei Vulci.
Il Gruppo Canottieri si fuse col nuoto e la pallanuoto a formare la Sezione Nuoto e Canottaggio.
Vennero apportate modifiche al regolamento sportivo, una delle quali, l’art. 87, recitava: i canottieri indosseranno come costume sociale la maglia bianca con bordatura celeste carico e calzoncini celeste carico.
La Sezione Nuoto e Canottaggio non entrò a far parte delle 108 società federate alla RFIC.
Nella seconda metà degli anni ’20, forte di una rinnovata vitalità economica e umana, la Podistica andò incontro ad importanti cambiamenti.
Intanto, nel 1926, mutò il nome in Società Sportiva Lazio.
La Casina Fluviale del 1920 venne smantellata e se ne innalzò, nell’estate del 1929, una nuova: non in stile svizzero ma “più bella e resistente”.
Nel 1931 fu costruito un campo da tennis; esso andò a fare coppia con quello da bocce, regno incontrastato di Romeo Tofini.
In seguito, venne ricavato lo spazio per un secondo campo in terra rossa, di fila al primo.
Il turismo fluviale costituì la principale delle occupazioni dei canottieri laziali, che con i loro skyff solcavano le acque unitamente alla altre imbarcazioni dei circoli della Capitale.
La SS Lazio, infatti, lungo tutto il “ventennio” non partecipò alle competizioni agonistiche remiere, non essendo iscritta alla Federazione.
E’ giusto dire che sotto il fascismo l’attività agonistica aumentò rispetto al periodo liberale, limitata però dal fatto che non esistevano campi di regata regolamentari nel perimetro del Comune.
Si poteva utilizzare il Lago di Albano, ma bisognava percorrere trenta chilometri per raggiungere la riva del lago stesso, che era sprovvisto di ogni impianto nautico.
Alla sede in riva al fiume della Lazio, per tutti gli anni ’30, più che all’agonismo remiero si puntò allo svago.
La Sezione Nuoto, che invece puntava a forgiare campioni, nel 1930 si scisse dalla Sezione Canottaggio e il 15 marzo 1932 fu trasportata per intero allo Stadio del Partito a viale Tiziano, sotto la direzione di Bitetti e dell’ing. Giovanni Baldi.
Rimasero alla Casina le altre attività: il tennis, le bocce, le carte, le passeggiate in yole e canoino da parte di un nutrito gruppo di appassionati.
Quasi all’indomani della liberazione (4 giugno 1944), il Tevere cominciò a ripopolarsi.
La gente, che non poteva più raggiungere il litorale, sconvolto e minato, si riversò sulle rive del fiume.
L’attività alla Casina riprese gradatamente, sotto la guida del presidente Pellegrino Piperno Toscano.
Quindi Piperno passò la presidenza della Sezione Canottaggio e Tennis all’avv. Carlo Adinolfi. Questi, l’11 agosto del 1946 venne rieletto, e una settimana dopo partecipò alla seduta d’insediamento del Consiglio Direttivo della SS Lazio, tenuta nei locali di via Borgognona. In quell’occasione, la Polisportiva riprese il suo regolare corso, dopo la stasi e la confusione seguite all’occupazione nazista.
Nell’estate del 1945 una partecipazione, seppure minima, al Trofeo Italia e alle regate di Castel Gandolfo diede l’avvio all’agonismo per la Sezione Canottaggio, dopo ventidue anni di diporto.
Specie il Trofeo Italia, che si svolse il 15 settembre sul Tevere, fu una manifestazione di rilevanza, in quanto mise in acqua gli armi di otto società: Aniene, Tevere Remo, Lazio, Roma, San Giorgio, Ferrovieri, INPS e INA.
I vogatori della Lazio furono eliminati dalla Ferrovieri.
L’estate del 1946 registrò un timido inizio di canottaggio agonistico.
I biancocelesti, dal canto loro, intendevano inserirsi nella lotta, favoriti dal semi-azzeramento della guerra.
Però non disponevano di efficienti barche da competizione.
A marzo del 1947, con l’arrivo dell’allenatore Emilio Girolimini, esule dall’Aniene, si formò una squadra competitiva di canottieri.
Ne facevano parte Roberto Cecchini, Ermete Filippetti e Dario Mugnai, ex dell’Aniene, più Enrico Giuli ed i giovani Ugo Pischiutta e Franco Paolucci.
Un “quattro con” prese parte alle regate di Castel Gandolfo e, a metà agosto, ai Campionati Italiani di Pallanza.
Al termine dell’annata, la Canottieri Lazio occupò la ventinovesima posizione nel ranking della FIC.
Senza praticamente nessun appoggio finanziario dalla Casa Madre, Bitetti avviò altri lavori di ampliamento e ristrutturazione della Sede Fluviale, avvalendosi del sostegno dei soci più volenterosi.
I lavori partirono nella primavera del 1952 e s’ingrandirono ambiziosamente già a fine anno, quando dall’originale idea di un vascone ai piedi della terrazza in costruzione si passò ad un più ardito progetto che comprendeva una piscina agonistica vera e propria.
Anche in questo, Bitetti mise il suo zampino, ottenendo dal CONI un finanziamento prezioso, con la scusa che la piscina avrebbe potuto essere utilizzata come scuola e dagli atleti delle sezioni nuoto e pallanuoto; in prospettiva, sarebbe infine servita ai Giochi Olimpici del 1960, qualora Roma avesse vinto la battaglia dell’assegnazione.
Bitetti mise la sua firma sulle carte che il CONI volle gli fossero presentate per giustificare la richiesta.
Vari personaggi entrarono nell’edificazione della piscina e nella ristrutturazione generale.
In primo luogo, gli ingegneri Renzo Nostini, D’Asdia, Pischiutta e il buon Bitetti, coi suoi consigli di esperto fiumarolo.
A giugno del 1954, dopo che per quasi due anni la Casina si era trasformata in un cantiere, i lavori potevano dirsi terminati.
La parte della Casina al livello della strada era ancora in legno, ma il resto tutto in cemento.
Bitetti e l’ing. Nostini, eletto vice presidente del Circolo, ricevettero una medaglia a “ringraziamento e ricordo per l’opera compiuta”.
La Canottieri Lazio continuò ad essere un centro di ritrovo per gli appassionati del tennis e del remo.
Le carte, almeno fino a quando Bitetti non lasciò la presidenza a Tullio Fazi, nel 1960, rimasero un passatempo quasi innocuo; solo all’abbrivio degli anni ’60 sarebbero diventati qualcosa di più, con l’impianto di una vera e propria “sala da gioco” al piano superiore della Casina.
Inoltre, la Sezione Pallavolo era diventata ospite della Canottieri, aggiungendosi alla Sottosezione Tennis.
L’attività agonistica nel remo fu intensa, il parco barche continuò ad ingrandire. Nel 1954 venne assoldato come allenatore Antonio Ghiardello, l’olimpionico dell’Aniene.
Nel 1955 Italo Antinori lasciò il suo posto di carpentiere, pur restando come custode fino al 1964, e venne sostituito da un veneto di Comacchio: il “maestro d’ascia” Fabio Bellotti, destinato a diventare una delle figure più caratteristiche nei successivi venticinque anni.
La quarta generazione di vogatori agonisti comprese validi ed estrosi elementi, come il siciliano Peppe Silvestri.
Non mancarono i successi, sotto la sapiente mano di Ghiardello e del nuovo direttore sportivo Paolo d’Aloja.
L’8 settembre 1957, nel porto di La Spezia, Giuseppe Silvestri e Giovanni Calissoni vinsero il campionato tricolore juniores nel doppio canoe; una settimana dopo bissarono nella specialità “due di coppia”, sul lago di Massacciuccoli.
Nel 1959 esplose il talento del canoista Fausto Zanzot, campione d’Italia ragazzi nel singolo sulle distanze dei 500 e 3000 metri.
Nel 1961 furono eseguiti altri lavori soprattutto riguardanti la scarpata che fu sostituita da un muro di sostegno in cemento armato che arrivò fino al lungotevere.
Durante questi lavori, per un disguido, rimasero sotto la colata di cemento le due targhe in onore dei soci biancocelesti caduti nella prima e nella seconda guerra mondiale.
Evento, questo, ingiustificabile e di assoluta gravità.
Da ricordare che il nome e il numero di tali caduti erano comunque approssimativi, parziali se non addirittura errati.
La Canottieri Lazio era soltanto uno dei tanti circoli che bordeggiavano il fiume.
Tuttavia, non tutti questi circoli potevano dirsi veramente “sportivi”.
Alcuni avevano virato verso un’attività mondana.
Negli anni della Dolce Vita i frequentatori lo utilizzavano solo per prendere la tintarella.
E in questo non si discostavano dalla popolazione tiberina che, durante la buona stagione, si rosolava al sole sulle piattaforme del Gilda e presso gli stabilimenti galleggianti del Ciriola, di Mario Tofini e di Ercole Tulli.
Di piscine se ne contavano ancora poche.
Continuava la tradizione delle gare di nuoto nel Tevere, con le nuove edizioni della Coppa Bissolati e della Traversata di Roma, o il tuffo dal ponte di Castel Sant’Angelo a capodanno.
Ma era un mondo destinato a scomparire, di lì a una generazione.
Il 4 febbraio del 1963, presso lo studio del notaio Pietro Rea in via Lucrezio Caro 38, si costituì ufficialmente la Associazione Sportiva “Circolo Canottieri e Tennis Lazio”.
I Canottieri e le altre sezioni a sfondo dilettantistico si trasformarono in società a se stanti.
Il 17 luglio lo stesso Siliato dichiarò sciolta la Società Sportiva Lazio.
In suo luogo sorse la Associazione Società Sportive Lazio.
Il 27 settembre 1965 Novaro partecipò per la prima volta ad una riunione del Consiglio biancoceleste.
Negli anni ’60 presero piede le boccette e il cinema, il bridge e il calcetto. Venne lanciato un torneo estivo destinato a un grande successo: la Coppa dei Canottieri.
La splendida piscina, oltre che al godimento dei soci fu messa al servizio della Sezione Nuoto, con corsi per bambini e leve di nuoto. L’attività nel remo fu condotta egregiamente da Paolo d’Aloja, coadiuvato da Bonati, Perugini e Bellotti.
Nel 1963 i colori biancocelesti tornarono al successo in campo nazionale.
Protagoniste la barca del doppio canoe juniores, formata da Nino Biasi e Bruno Calvia, e quella del canoista Luciano Venanzoni, vincitore del titolo universitario K1 m. 1000.
Nel 1966 Novaro fu scalzato dalla presidenza da Francesco Saverio Sassi.
Sassi iniziò il suo mandato con più o meno gli stessi uomini dei quali si era servito Novaro; una compagine affiatata e che garantì il prosieguo della gestione a ottimi livelli.
Nel 1969, a seguito di una serie di fortunate circostanze, il Circolo riuscì ad acquisire un secondo galleggiante.
Notevoli furono le novità per le Sezioni Canottaggio e Canoa.
Soprattutto quest’ultima conobbe uno sviluppo quanto mai significativo, sotto la direzione tecnica di Bruno Calvia e poi di Orlando Parmigiani. Grazie alle vittorie a livello nazionale degli azzurri Letizia Milani e Mauro Chiostri, piovvero titoli tricolori sulle pagaie biancocelesti.
Gli anni dal 1968 al 1976 si rivelarono gli anni di maggiore espansione edilizia del Circolo.
Nel frenetico costruire furono coinvolti ampiamente i soci; sia col volontariato che col sistema dei contributi straordinari.
Nel 1971 la Canottieri Lazio acquistò il suo primo “otto fuori scalmo” in quasi cinquant’anni di vita.
Nel 1975, a celebrazione del 75° anniversario della SS Lazio, furono organizzate regate junior e master sul percorso di un chilometro e mezzo, con arrivo al galleggiante laziale.
Per la prima volta nella storia del canottaggio capitolino, otto imbarcazioni di otto vogatori solcarono le acque del fiume. Parteciparono alcuni degli armi più forti d’Italia.
Nell’estate del 1976 Perugini chiamò a dirigere il settore canottaggio il duo del Tirrenia, e cioè l’allenatore Giulio Messina e l’ex campionessa Letizia Milani.
Se per lo sport del remo gli anni ’70 si dimostrarono altalenanti, non altrettanto può dirsi del calcetto, che con la Coppa dei Canottieri assurse ad una notorietà inimmaginabile.
La “Coppa” diventò una kermesse che partiva a metà giugno e finiva a metà luglio.
Un appuntamento da non perdere, sia per i patiti del calcio a cinque, sia per i soci e gli spettatori ospiti, che, in specie nelle notturne conclusive, affollavano le scalinate in pietra della “Fossa”.
Un grosso problema, tuttavia, era dato dalla situazione di degrado crescente del fiume.
Intorno al 1980, il Tevere non era più quello del 1920, quando sulle sue rive sorgeva la casina “alpina” della Podistica Lazio.
Ormai era un fiume dimenticato, quasi estraneo ai milioni di romani scorrazzanti ai suoi lati sulle rumorose e venefiche automobili; un corso d’acqua urbano bisognoso di cure, soprattutto di pulizia.
Alla fine degli anni ’70, le autorità politiche cominciarono a muoversi per un recupero del fiume; in relazione almeno alla sua visibilità e fruibilità, giacché la funzione commerciale poteva considerarsi irrecuperabile.
Nel luglio del 1979 si tenne la prima edizione della “Tevere Expo”.
Nell’ambito di questo revival, si inserì la creazione del “Derby di Canottaggio”.
Lo spunto venne da uno spirito di emulazione nei confronti degli inglesi. C’era questa famosissima Boat Race, la sfida annuale sul Tamigi tra le ammiraglie delle università di Oxford e di Cambridge, giunta alla centoventiquattresima edizione. La novità piacque moltissimo alle dirigenze.
L’idea era geniale: un cocktail esplosivo che miscelava il football ai long-boats, con un pizzico di mondanità sullo sfondo.
La regata d’apertura partì regolarmente il 19 marzo 1978, a mezzogiorno preciso, quando si udì il “bum” in sordina del cannone dal Gianicolo. Moltissimi tifosi della Lazio e della Roma, avvisati dagli articoli sui giornali, seguirono incuriositi l’avvenimento dalle spallette dei ponti e dalle rive, parteggiando per l’una o per l’altra imbarcazione, secondo i colori ai quali erano affezionati.
Vinse la Lazio.
Non mancarono le polemiche, che poi sarebbero state, come da tutti previsto e auspicato, il sale delle edizioni successive.
Il “derby del fiume” fu ripetuto nel 1979 e poi nel 1980, allorché venne messa in palio la coppa.
Divenne così una manifestazione tradizionale, una specie di antipasto servito agli appassionati del pallone nella giornata della stracittadina di primavera.
Per i soci del CCT Lazio e del CC Roma, la sfida assunse il tono dell’appuntamento più importante dell’annata agonistica.
Il Derby diede un po’ di visibilità al remo romano; soprattutto lo fece conoscere al grosso pubblico, composto da quelli che, a pranzo e a cena, si cibavano esclusivamente di “pane e pallone”.
Intanto, dopo una ventata di fresca attività giovanile con gli allenatori Rocek e Brunamontini, ed il riconoscimento del CONI di Centro di Avviamento allo Sport, il remo agonistico era ripiombato in una situazione di stasi.
Ripartì grazie all’impulso donato dall’avv. Cesare Previti.
Sotto la prima presidenza di Previti, e poi con la successiva di Adolfo Cucinella si verificò un’esplosione senza precedenti di risultati nel settore agonistico.
L’artefice principale fu Dario Naccari.
La sezione canottaggio, maschile e femminile, fu suddivisa in tre gradi collegati fra loro: scuola, pre-agonistica e agonistica; l’età andava dai dodici anni in su.
Si formò un gruppo di circa settanta elementi, suddivisi equamente tra i due sessi, in seguito si sarebbe ingrandito fino a sfiorare le cento unità, e soltanto per la scuola.
La grossa novità fu l’innalzamento del settore femminile, che lievitò numericamente e qualitativamente in brevissimo tempo.
Nessuno degli altri circoli remieri romani aveva, fino a quel momento, puntato sulle “donne canottieri”.
Pregiudizi radicati limitavano l’impiego alle canoiste.
Le ragazze, affidate alle cure di Brunamontini, cominciarono a mietere allori a tutto spiano, anche a livello di assoluti.
Una ventina i titoli tricolori vinti tra il 1985 e il 1989.
Merito di Simona Bartola, Evelina Mendicini, Maria Ferrara, Tiziana Macripodari, Anna Fagioli, Giorgia Di Carlo, Elena Albertini, Cristina Palazzi, Maria Chiara Murolo, Francesca Bonifaci, Michela Testa, Cristiana Viezzi, Alessandra Zezza, Alessia Tondo e molte altre.
Tra gli uomini, si mise in luce il “due con” composto da Stefano Fumasoni e Fabrizio Ranieri, entrambi destinati in azzurro e a vincere a livello europeo e di campionati mondiali.
Già nel 1986 il CCT Lazio ritornò a vestire il ruolo di prima società remiera di Roma.
Nel 1989 la vittoria tra i senior del doppio Palazzi-Fagioli fu il canto del cigno del ciclo iniziato da Naccari.
Più nessuna altra coppa importante sarebbe entrata nella bacheca del Circolo nel triennio successivo.
Nella seconda metà degli anni ’80 Naccari aveva dunque cambiato le carte in tavola.
Prima di lui, la Canottieri Lazio aveva funzionato, suo malgrado, da meraviglioso vivaio per un paio di circoli più prestigiosi.
Con Naccari si era verificato il contrario: dagli altri circoli erano venuti elementi alla Lazio.
Nell’ottobre del 1991 Cesare Previti venne eletto presidente per la seconda volta, succedendo così ad Umberto Aloisi.
Previti da circa un anno occupava la poltrona di presidente generale della SS Lazio. Aveva idee chiare ed ambiziose, per un rilancio del Circolo sia a livello sportivo che mondano.
Per quanto concerne la parte sportiva, puntò molto sul Derby di Canottaggio e sulla Coppa dei Canottieri.
L'”otto” venne rinforzato con le forze fresche attivate a suo tempo dalla “cura Naccari”, al punto da risultare quasi imbattibile.
Nel giro di poche edizioni, il CC Lazio rovesciò la situazione di svantaggio, tanto da suscitare le ire dei vicini di casa del CC Roma.
Analogamente, per la Coppa dei Canottieri si cercò un rilancio in chiave di una maggiore propaganda dell’evento.
La morte di Gustavo Valiani, avvenuta nel settembre del 1993, non rallentò la crescita della manifestazione.
La Coppa si avviò a diventare ciò che è adesso: un torneo sponsorizzato, seguito giornalmente dai mass-media e che vanta la partecipazione di alcune delle “star” del calcio a cinque nazionale.
Sul versante sportivo, i primi tre anni degli anni ’90 non portarono titoli. Questo accadde perché all’interno del Circolo si era formata una fazione contraria alla politica “dispendiosa” del consigliere Marino.
Non entrarono coppe in bacheca, ma si risparmiarono soldi che poi, tutto sommato, servirono ad integrare il budget per la ristrutturazione.
Nel 1993 Brunamontini produsse un’annata di netto rialzo delle “azioni Lazio” alla borsa del canottaggio nazionale. In campo maschile, protagonisti furono i diciottenni Andrea Paolucci e Carlo Artico, un “2 senza” pesi leggeri supercollaudato.
I due vinsero a marzo-aprile le regate nazionali a Piediluco e guidarono l’otto fuori scalmo alla vittoria nel Derby.
Savarino vinse l’oro ai campionati universitari. Ancora meglio si comportarono le donne. Importantissimo fu l’accordo, aggiunto ad inizio stagione con la Canottieri Civitavecchia.
Diverse atlete furono accorpate alla Lazio e si formò un gruppo competitivo. Il risultato più prestigioso fu quello conseguito da Erika Bello, che entrò nel “4 di coppia” azzurro argento ai Mondiali juniores in Norvegia; per questa partecipazione venne premiata dalla Associazione Azzurri d’Italia. Un altro atleta che indossò la maglia della Nazionale fu Paolo Ramoni, riacquisito all’abbrivio della stagione 1993-94.
Ad ottobre Ramoni si classificò terzo, con l’otto PL, ai Mondiali di Roudnice. Soddisfatto per la prestazione, regalò la maglia al Circolo.
Il 1995 portò altri tre titoli tricolori.
Nel 1996 Michela Daniele vinse il titolo indoor al remoergometro a Levico Terme. L’annata si concluse con un bottino di tre titoli tricolori e parecchi piazzamenti di rilievo.
Le dimissioni da presidente di Previti provocarono il classico “vuoto di potere”.
Alle elezioni del 3 giugno 1996 venne premiata la lista presentata da Adolfo Cucinella.
Esauste le casse sociali, non fu possibile rifinire l’opera di ristrutturazione. Varie cose rimasero a mezz’aria, la Canottieri visse un triennio disciplinato, al risparmio.
Ciò non impedì a Piero Marconi e agli altri intramontabili amici del remo – Calvia, Marino e Filippetti – di portare avanti egregiamente il settore agonistico.
Savarino fu nominato allenatore capo, con la consulenza d’appoggio di Naccari.
A partire dalla stagione 1997-98 Naccari cominciò ad indirizzare l’attività dei migliori atleti su un piano parallelo a quello del centro tecnico federale.
I risultati non si fecero attendere.
In campo maschile, capitan Fabrizio Ranieri e gli altri paladini dell'”otto” si aggiudicarono i Derby 1996 e 1997, mentre per le edizioni ’98 e ’99 la prestigiosa “insalatiera” non venne assegnata.
Il duo Naccari-Savarino portò in bacheca quattro titoli italiani.
Scaduto il mandato di Cucinella, il 1999 si aprì con due assemblee nelle quali si fronteggiarono uomini che avevano idee opposte sulla maniera di risolvere la crisi finanziaria del Circolo.
Dapprima vennero vagliate le liste Baccini e Forza, quindi le liste Cucinella e Antinori.
Infine, i favori dell’assemblea conversero sulla persona dell’avv. Alfonso Golia, socio dai tempi di Ugo Novaro e persona di squisite capacità dialettiche.
La presidenza Golia ebbe subito un battesimo fortunato con l’arrivo di Gabriella Bascelli.
La promessa italo-sudafricana si mise a disposizione dell’allenatore Savarino e già a settembre si assicurò il titolo italiano juniores all’Idroscalo. Tra i maschi, si mise in luce l’under 23 Angelo Bello.
Il 2000 visse sui successi del canottaggio, sempre più lanciato nel suo trend positivo.
L’atmosfera di fermento tra i “veterani” (Fumasoni, Ranieri, De Luca, Petri, Sciarra, Pischiutta, Vitullo, Calzona, Carbone, Zanzot, l’inossidabile Calvia) ebbe un riscontro nella nascita di un gruppo di master donne, dirette da Michela Testa e Michela Daniele.
Il diciassettenne veneziano Marco Ragazzi, ennesimo “acquisto” di Naccari, a Piediluco agguantò il titolo di campione d’Italia juniores; coadiuvato dal ventiquattrenne Piergiorgio Negrini, giunse poi terzo nel doppio seniores.
Ragazzi e Negrini vinsero così il titolo italiano per società, riservato ad equipaggi non militari.
Sempre a Piediluco, Gabriella Bascelli si laureò campionessa d’Italia senior.
La ragazza di Johannesburg ed il veneziano furono convocati per i Mondiali Juniores in programma ai primi di agosto a Zagabria.
Fu un trionfo per i pupilli di Naccari.
Ragazzi si aggiudicò la vittoria, terzo atleta proveniente dalle file della Lazio a vincere un titolo iridato, dopo Fumasoni (1987) e Ranieri (1990-91).
Il 19 dicembre del 2000, alla seconda tornata elettorale, Buccioni ottenne il quorum necessario per diventare il 27° Presidente del CC Lazio.
Il “Rinascimento” innescato da Buccioni si fece palese nel settore delle feste e dell’attività di rappresentanza.
Si affacciarono via via sulla terrazza sul Tevere personaggi come il politico Gianfranco Fini, lo scrittore Luciano de Crescenzio, l’attore Oreste Lionello, il cabarettista Antonio Giuliani, lo sceneggiatore Enrico Vanzina, il Maestro Marcello Panni, il musicista Ennio Morricone, l’on. Gianni Rivera, Nando Martellini, Alberto Sordi e il presidente della AS Roma Franco Sensi.
Andando a commentare i tempi odierni, possiamo dire che il “ritorno all’antico” di Antonio Buccioni si è dipanato in maniera netta nel settore sportivo.
Il numero di discipline praticate è in costante aumento.
Il canottaggio&nb